
Dall'articolo di Cristina Nadotti su la Repubblica
"L'articolo del Washington Post porta agli onori della cronaca una situazione nota agli addetti ai lavori e nell'underground della Rete - commenta Guido Scorza - in Internet sono in vendita le altrui identità digitali". Però non è corretto dire che chi le ruba resti impunito. "La commercializzazione di altrui password così come l'acquisto di tali elementi costituisce naturalmente reato nella più parte dei Paesi e, comunque, in tutti quelli che hanno aderito alla convenzione di Budapest sul Cybercrime e l'hanno ratificata; tra questi l'Italia". La stessa Convenzione di Budapest - continua Scorza - ha introdotto importanti strumenti di collaborazione investigativa tra Autorità e forze dell'ordine di diversi Paesi. Non si può, dunque, dire che certe cose in Internet accadono perché la Rete continua a rappresentare il far-west di un tempo". Scorza sottolinea però quanto detto anche dal Washington Post, e cioè che ai governi sembra più importante sanzionare più duramente la diffusione di un'opera musicale o cinematografica che la sottrazione di identità. "In Italia, come nel resto d'Europa - conclude Scorza - negli ultimi anni si è parlato più di frequente dell'esigenza di elaborare nuovi strumenti di antipirateria che non di individuare soluzioni per limitare, se non la criminalità informatica, almeno le sue conseguenze promuovendo iniziative volte ad accrescere la maturità e consapevolezza degli utenti nell'uso delle nuove tecnologie".
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